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SCACCO MATTO: Raggiungere gli obiettivi attraverso la scelta Nel mondo degli scacchi, lo scacco matto è il risultato ultimo di riflessioni, strategie, decisioni. Una partita a scacchi è un po’ come la vita: ci troviamo costantemente di fronte a scelte e, per arrivare al nostro traguardo, spesso, dobbiamo lasciare qualcosa sul campo. Ogni decisione, che si tratti di accettare un nuovo incarico (lasciando il precedente), dedicare tempo a un progetto (sottraendone inevitabilmente a noi stessi, alle relazioni, ad altri progetti) o investire in una relazione (più che in altre), implica una rinuncia. Difficile da accettare? Molto. Ma fondamentale se vogliamo davvero andare da qualche parte, arrivare a qualcosa…sull’altra sponda della scacchiera. A onor del vero, pare che esistano, però, partite in cui un giocatore riesce a vincere senza sacrificare alcun pezzo. Spesso si tratta di partite didattiche o di livello “basso”. Anche nella vita, quando la posta in gioco non è così alta (basso investimento emotivo, economico, di tempo…), non percepiamo il sacrificio. Non sentiamo di dover rinunciare a qualcosa per andare altrove. Pare che, però, anche tra le partite di scacchi più famose, ci siano esempi simili. Bobby Fischer, nel campionato del mondo del 1972, a Reykjavik, riuscì a imporsi su Boris Spassky,  senza sacrificare alcun pezzo. Fischer sfruttò la superiorità posizionale, la strategia e una attentissima pianificazione. Possiamo quindi dire che è possibile vincere senza “sacrificare” nulla anche nelle sfide più complesse? Forse Fischer non lasciò pezzi pezzi sul campo! Ma quanta energia dovette investire nella partita? E prima? Nel pianificare, nel (pre)vedere, in modo quasi ossessivo?  Per la maggior parte di noi, il percorso verso il successo, l’impegno per “far accadere cose” richiede sacrifici: di tempo, energia, relazioni, opportunità…Ahinoi, non possiamo avere tutto, tenere tutto… E allora? Non ci resta che dare il benvenuto alla SCELTA, chiamandola con il suo nome. Quando rinunciamo a qualcosa, quando lasciamo andare un pezzo dei nostri scacchi, ricordiamoci che stiamo scegliendo di farlo per avere qualcos’altro, per andare da qualche altra parte, per seguire la nostra strada …in relazione alle circostanze. Focalizziamoci su ciò che stiamo costruendo e non su ciò che lasciamo indietro; diamo il benvenuto all’investimento (NON al sacrificio!) di energia, tempo, relazioni…perché questo investimento ci permette di costruire qualcosa che per noi è più importante. E poi, facciamo la nostra mossa, il primo passo, per vedere come va… per adeguare di volta in volta la tattica, cosicché possa sostenere la strategia e la visione. Procediamo riconoscendo quali pedine siamo disposti a lasciare sul campo e andiamo avanti senza rimuginare: quando la mossa è fatta ciò che di più utile possiamo mettere in campo è pensare alla mossa successiva. Prepariamoci a giocare la nostra partita, consci del fatto che ogni mossa conta e ogni scelta, facile o difficile, ci può avvicinare al nostro scacco matto. Accettiamo le sfide e prepariamoci a vincere!  

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VOCE ALTA, MESSAGGIO BASSO Alzare la voce può essere utile in alcune situazioni specifiche, ma è importante farlo con attenzione e consapevolezza.   In caso di emergenza, di pericolo, urlare è sicuramente una scelta funzionale: ci aiuta ad attirare l’attenzione per avere soccorso; ad allertare per proteggere; a spaventare (i malintenzionati) per allontanare… Alzare la voce può poi essere necessario per comunicare in ambienti rumorosi, come ai concerti, a feste affollate; può essere adatto per dare la carica in contesti sportivi, per sottolineare un passaggio di particolare rilievo in un discorso pubblico…urlare di gioia può essere positivamente contagioso!   Resta il fatto che la ‘voce alta’ vada usata con parsimonia e sempre con l'intenzione di migliorare la comunicazione, non di intimidire o di dare sfogo (in un contesto sociale) a una reazione. In questi casi, infatti, alzare la voce raramente porta a farci ascoltare.   Quante volte ti è capitato di sentire un superiore o un collega alzare la voce nella frustrazione di un progetto in ritardo, di un errore nei dati, in una riunione all’accendersi del dibattito?Quante volte in famiglia hai sentito alzare la voce (o l’hai alzata) perché tuo figlio non ha fatto i compiti, il tuo compagno ha lasciato disordine in casa, hai ricevuto una risposta sgradevole in un litigio? Quante volte hai sentito alzare la voce (o l’hai alzata) per far prevalere la tua opinione su una diversa dalla tua?   In casi come questi, se alziamo la voce generalmente l’altro si chiude. Si isola.   Perché, se ‘ci urlano addosso’ troppo spesso, la nostra attenzione si sposta dal messaggio al fastidio, che il rumore ci procura. E allora, ci dotiamo di tappi per le orecchie, chiudendoci in un silenzio protettivo. E ci restiamo probabilmente anche quando il nostro interlocutore alza la voce realmente per allertarci, risultando noi più esposti a rischi e il nostro interlocutore meno efficace.   Se vogliamo essere ascoltati, abbassiamo allora il volume e iniziamo ad ascoltare, per primi.   Ascoltiamo non solo le parole ma anche i gesti, le espressioni del volto, le emozioni… Ascoltiamo con attenzione. E con intenzione, evitando di farci trasportare, schiacciare, dalle reazioni, dalla fretta, dalla voglia di risolvere.   Cerchiamo di comprendere di cosa ha bisogno l’altro, cosa è disposto ad accogliere, costruendo ponti. Solo così potremo creare uno spazio di dialogo costruttivo, incontrandoci magari, intanto, a metà della via, facendo del bene a noi stessi, ai nostri team, ai nostri cari.  

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Team Coaching e Group Coaching: perché le aziende devono farlo anche nei momenti di successo Nelle organizzazioni, il coaching è spesso richiesto per affrontare sfide accompagnare alla trasformazione  gestire i conflitti migliorare la comunicazione  sviluppare e rafforzare le relazioni interpersonali Ma nei periodi di apparente successo e fluidità nei processi, il coaching viene frequentemente trascurato. Per garantire una crescita sostenibile nel tempo alle nostre organizzazioni (e a noi stessi!) è invece fondamentale continuare a lavorare sul potenziale delle nostre persone, anche quando tutto sembra procedere per il verso giusto. Abituarsi al successo può infatti portare alla stagnazione, come ci insegna l’ emblematico caso di Kodak. Negli anni '90, Kodak dominava il mercato della fotografia con il suo modello di business basato sulla pellicola. Sicura del suo predominio, non considerò adeguatamente le nuove prospettive, il che la condusse al declino, culminato con la bancarotta del 2012.   Anche quando percepiamo che nulla ci possa scalfire, è dunque cruciale non adagiarsi sugli allori. Dobbiamo interrogarci costantement  se stiamo esplorando adeguatamente contesto, opportunità e risorse  se stiamo esprimendo tutto il potenziale a nostra disposizione Ignorare il coaching in questi frangenti può esporci a rischi inaspettati, rendendoci vulnerabili…a esempio ai cambiamenti del mercato.   Nei momenti di successo, inoltre, è importante porre ancora più attenzione del solito a un fenomeno in cui gruppi e team spesso incorrono: il "Group Think". Il "Group Think", un concetto sviluppato dallo psicologo Irving Janis negli anni '70, si manifesta nella prevalenza del consenso sulla valutazione critica delle alternative. Alcuni dei suoi indicatori tipici sono: le pressioni sui dissenzienti, esplicite o implicite l’autocensura, per cui i membri del gruppo tendono a sovrastimare il grado di consenso e ad autocensurare le proprie osservazioni l’Illusione di unanimità, per cui la mancanza di dissenso viene interpretata come una prova di consenso l’illusione di invulnerabilità, che porta a sottovalutare i rischi la razionalizzazione, per cui vengono ignorati i segnali di allerta, cercando di giustificare le decisioni prese la visione stereotipata degli avversari:  chi si oppone viene etichettato negativamente Questi ultimi tre aspetti in particolare, si possono amplificare nei periodi di successo, quando i membri del team si sentono sicuri delle proprie decisioni, il che può portare a criticità estreme, come nel caso di Kodak: nuove idee e potenziali rischi vengono sistematicamente trascurati.   Rispetto al Group Think , il coaching può svolgere un ruolo cruciale per: Creare spazi sicuri per il dialogo: favorendo un ambiente in cui le persone si sentano libere di esprimere opinioni dissenzienti senza timore di ritorsioni. Valorizzare la diversità: non solo in termini di background culturale o professionale, ma anche rispetto agli stili di pensiero. Stimolare il dibattito: incoraggiando i membri a mettere in discussione le idee prevalenti. Tenere il focus sugli obiettivi: contrastando le tendenze al conformismo.   Investire nel coaching, dunque,  non solo promuove la crescita individuale, ma ha anche il potere di trasformare le dinamiche di gruppo, portando a decisioni più informate e risultati migliori. Ci aiuta a garantire che le nostre organizzazioni siano pronte a cogliere le opportunità future, massimizzando realmente il loro potenziale: è un'opportunità per prepararci a sfide future, assicurando che l'organizzazione rimanga competitiva nel lungo termine. Il coaching è una risorsa strategica che deve essere sfruttata non solo nei momenti di crisi, ma anche nei periodi di successo, per costruire un futuro prospero.  

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Natale nel cuore: un caleidoscopio di emozioni La "magia del Natale" evoca meraviglia, sorpresa, incanto.   Il Natale è un’esplosione di luci, decorazioni scintillanti, alberi addobbati e presepi che raccontano storie antiche. È un periodo di storie fantastiche, di renne e slitte, di Grinch e fabbriche di cioccolato, di canzoni, di film da guardare dal divano, con la coperta morbida a scaldarci e camini accesi. È il profumo di biscotti appena sfornati, il fruscio delle cartelle della tombola e l'atmosfera di feste di beneficenza. È celebrazione e ripetizione di tradizioni che creano connessione: dall'apertura dei regali alla preparazione di cibi speciali, fino alle cerimonie religiose che uniscono le famiglie. Il Natale è i ricordi dell'infanzia, che portano con sé il profumo della meraviglia, della festa, della sorpresa…del sentirci parte di un tutto più grande. Il Natale é (ri)connessione, anche con noi stessi: attraverso la riflessione e l’introspezione possiamo dischiudere speranza e rinnovamento.   Le emozioni che proviamo a Natale si intrecciano e si sovrappongono, come le forme e i colori di un caleidoscopio.   A Natale c’è la gioia degli incontri, dei regali scelti con amore, delle risate che risuonano nelle stanze, del giocare, del fare insieme. C’è la compassione, la generosità del condividere cibo, ascolto, calore, accoglienza…anche con chi non appartiene alla stretta cerchia dei nostri amici o famigliari, con chi sta attraversando momenti difficili. Ma a Natale ci sono anche la nostalgia dei ricordi, la malinconia dell’assenza di chi non può (piu) festeggiare con noi; il senso di colpa verso le persone a cui è stata tolta la serenità di poter gioire; la tristezza della solitudine e della malattia, fisica e mentale; lo stress dell’organizzazione. L’ansia per le aspettative può poi generare timore di delusioni; il conflitto interno tra la necessità di bilanciare relazioni lavorative e familiari può far crescere la tensione.   Il Natale è ricco di emozioni differenti e persino contrastanti, per ognuno di noi. Per viverlo appieno è fondamentale riconoscere e dare il benvenuto a tutte queste emozioni, sia quelle piacevoli che quelle spiacevoli, imparando a condividere tanto la gioia quanto la malinconia, tanto la festosità quanto il senso di impotenza, per viverne, in modo ancora più profondo, la magia.   Accogliere le nostre emozioni e accogliere, in senso ampio, ci rende umani. Liberare le nostre emozioni e liberare, in senso ampio, ci rende umani. (Per)donare e (per)donarci ci rende umani.   Il mio augurio per questo Natale è che l’umanità si risvegli in ciascuno di noi e che voglia risplendere, così da illuminare a festa ogni casa nel mondo.

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