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Smart Talking con Diego Parassole. L’ascolto attivo per comunicare in modo efficace.
Pubblicata il 25/05/2022

Intervista a Diego Parassole: formatore per passione; comico per missione 

 

Benvenuto nel blog di Talent Up Diego!

Grazie Barbara!

In questa intervista ai tempi del coronavirus, che ne dici se non accendiamo le videocamere?

Mi spiace che non ci vediamo di persona, ma sai, la connessione qui a casa mia è instabile.

 

Va bene comunque: useremo la voce. La bellezza trasparirà dalle parole, dallo smart talking!  

Ok, se la metti così ti faccio una confessione: la rete funziona ma non mi andava l’idea di farmi vedere in pigiama, come molte delle persone che lavorano da casa ??

Sai, in realtà sto pensando di andare a letto vestito, così risolvo il problema alla radice! ??

 

In queste settimane tra gli argomenti dominanti, oltre al coronavirus, c’è stato lo Smart Working. Ma nessuno ha ancora parlato di Smart Talking! Ti va di inaugurare l’argomento?

Quello che sto vivendo in prima persona, in modo decisamente amplificato rispetto al passato, è il dilagare di una comunicazione dispersiva.

Molte persone parlano senza aver pensato prima a cosa comunicare.

C’è un eccesso di comunicazione a cui non si riesce neanche a star dietro!

Vale tutto e il contrario di tutto. E non solo sul Coronavirus!

 

Io ad esempio sono sempre più confuso sull’utilizzo della vitamina C! Serve o non serve? E se ne assumo troppa? Il mio corpo la espelle naturalmente oppure entro in ipervitaminosi???

 

Forse si sono persi il senso e lo scopo del comunicare in questo periodo. Forse si erano già persi prima ma era meno evidente.

 

Smart talking per me significa innanzitutto progettare di più la comunicazione, che altrimenti risulta confusa e soprattutto genera confusione!

 

E’ necessario partire da fonti sensate, riflettere, ascoltare.

E poi le neuroscienze ci dicono che noi non ascoltiamo in primis noi stessi! Non ascoltiamo le nostre sensazioni, il nostro corpo, le nostre emozioni: ci troviamo immersi nei nostri pensieri senza sapere neanche da dove ci arrivano.

 

Spesso il nostro cervello si aggrappa ad abitudini e a convinzioni e ci porta a reagire invece che a fermarci, vedere e quindi agire: andiamo avanti con il pilota automatico e può essere inefficace, se non dannoso.

Per questo, prima di parlare, scrivere, agire, è più che utile fermarci. E provare a percepire intenzionalmente cosa ci arriva.  

 

 

Io sono un “seguace” della mindfulness, perché mi permette di ascoltarmi di più, mi allarga la visuale. Certo, non la rende perfetta ma è come avere un paraocchi un po’ meno stretto.

E’ un modo per collegare emozioni e pensieri.

 

Se sono scollegato da me stesso sono scollegato anche dagli altri: non uso gli strumenti che ho per andare più a fondo nell’ascolto, e quindi non ho la possibilità di fare smart talking!

 

Mi è capitato di vedere sui social foto di bare accompagnate da scritte “non è certo il caso di festeggiare”.

Io ho il massimo rispetto per il dolore e per la sacralità della morte. Ma credo che in momenti come questo in particolare – e in generale sempre nella vita – sia fondamentale mantenere la capacità di sorridere: ci aiuta a sopravvivere, a vivere meglio.

 

Mi hai parlato di ascolto attivo come fondamenta dello smart talking. Di esercizio della mindfulness, come presenza a sé stessi per amplificare la visione; di inclusione dell’ironia.  Altre considerazioni sullo smart talking?

Beh, sicuramente un altro aspetto da valutare è quanta parte della tua comunicazione arrivi agli altri.

 

Mi ricordo le prime esperienze fatte al Maurizio Costanzo Show.

Ero giovane, ancora un comico inesperto e mi stupivo di come ci potesse essere qualcuno nel pubblico che non rideva alle mie battute – pochi eh! ??    

Una volta mi accadde persino che uno spettatore, fuori dal Parioli, mi domandasse come mai avevo tutti quei problemi - Costanzo mi chiedeva spesso di scrivere di disavventure amorose o di lavoro. 

 

Poi ho capito: alcune persone erano confuse dal fatto che i miei pezzi comici sembravano più realistici di ciò che dicevano gli altri ospiti presenti sul palco! Ecco, considerate che c’era il Mago Otelma…

Inoltre

  • io facevo monologhi, che non erano introdotti da alcuna cornice, come invece accadeva per i comici come Riondino o Iacchetti, che accompagnavano la loro performance con la musica. Non avere uno “stacco” rendeva difficile per alcuni comprendere la discontinuità.
  • il target era diverso da quello dei locali, in cui il pubblico era fatto di persone che sceglievano intenzionalmente il cabaret, la comicità – e magari proprio un certo genere di comicità.

 

Gli apprendimenti più grandi in tema di comunicazione che mi sono portato a casa da questa esperienza?

  • non tutte le persone hanno gli stessi strumenti per decodificare i messaggi
  • il messaggio deve essere tarato sul pubblico che si ha di fronte (o che ci guarda addirittura in differita, mediati dalla televisione): persone diverse leggono i messaggi in modo diverso

 

A valle di questo particolare momento sociale ed economico, molte persone all’interno delle aziende dovranno prendere decisioni impopolari. Alcune sono già state prese. Come può essere d’aiuto lo smart talking in questi casi? 

Credo che lo smart talking abbia un elevato potenziale nel generare accoglienza, coesione, motivazione: per i manager che dovranno prendere decisioni impopolari un punto cruciale sarà cercare di far capire le motivazioni che li hanno portati alla scelta.

 

E’ possibile che in molti arriviamo a volere una cosa, anche se ci costa sacrificio, se sappiamo il perché ci viene chiesto di farla.

  

Se oggi sei a capo di un reparto di terapia intensiva, forse non puoi motivare tutti gli infermieri, ma ci puoi almeno provare, ricordando alle persone, che sono esseri umani, perché sono li.

Con te.

E che tu sei li con loro.

 

Se all’essere umano che hai di fronte arriva solo il “DEVI” è assolutamente probabile che lui provi a fuggire. Dal controllo ci si vuole liberare.

Ma se diventa una scelta, guidata da una ragione, tutto assume un altro sapore. 

Più riusciamo a essere in ascolto della pancia dell’altro più possiamo costruire una comunicazione che lo “porti a bordo”, influente.

 

Valorizzare la persona è imprescindibile.

Se tratti una persona come una pedina ne fai una vittima.

Se riconosci l’importanza del suo ruolo, della sua parte attiva nel processo è completamente diverso.

 

E’ il senso che vedo nell’evoluzione “devo – posso – voglio” che è uno spettacolo che vorrei presto scrivere.

 

 

I manager dovranno anche imparare ad ascoltarsi, in misura sempre crescente, dando spazio e accoglienza anche al proprio senso di inadeguatezza nella gestione della disapprovazione.

 

L’antropologo Lèvi-Strauss racconta che chi veniva escluso dal gruppo, nelle tribù primitive, moriva in pochi giorni. Non per mancanza di cibo, o per l’aggressione di animali “feroci” ma per l’enorme dolore attivato dalla disapprovazione sociale.

 

In ogni caso noi non possiamo piacere a tutti, e questo non è mai facile da accettare.

 

Riassumendo: riconoscere, ascoltare, esserci. Ho capito bene? 

Si e anche, prima di tutto, essere collegato a te stesso!

Anni fa, quando ero io la vittima dei corsi di formazione ??, una psicologa disse una frase che mi colpì molto: 

 

“Non sempre ciò che vogliamo è ciò di cui abbiamo bisogno”

 

Ecco, io ad esempio volevo fare la ballerina ma non ce l’ho fatta! ??

Se avessi voluto impersonare l’investigatore in un film, sarei stato più Mr. Bean che Sean Connery!

 

E’ un tema di credibilità. Che, parlando di smart talking, io ricollego all’autenticità.

La non autenticità passa quasi sempre! Nel lungo periodo le persone percepiscono come sei effettivamente. Non essere autentici genera sfiducia. Distacco. Estraneità. Perdita di autorevolezza.

 

Credo che l’autenticità sia l’unica strada,  anche se non è la più facile.

 

Abbiamo già sviscerato insieme molti elementi di smart talking, di comunicazione efficace. Ti va di chiudere con una verticale sul contesto?

 

Il contesto condiziona moltissime cose.

Far finta, ad esempio, che non ci sia un problema, spesso genera effetti devastanti. 

 

Ti racconto un aneddoto di vent’anni fa.

Eravamo un gruppo di comici a una convention aziendale.

L’azienda aveva appena completato una ristrutturazione: persone licenziate, persone trasferite lontano dalle famiglie.

L’allora AD iniziò il discorso di apertura in questo modo :

“certo, alcuni sono stati licenziati, altri trasferiti. Ma in fondo non è cambiato molto”.

Fu una esperienza surreale.

Io vedevo i volti di chi era li a sentirlo. E ci leggevo stampate sopra molte emozioni e sentimenti – tra cui le grandi assenti erano l’accordo, l’approvazione, il coinvolgimento.    

Le persone si sentivano prese in giro. IL contenuto era fuori luogo. Completamente.

 

Quando preparo uno spettacolo oltre al contenuto presto molta attenzione al linguaggio: dobbiamo parlare la lingua di chi ascolta!

 

Se parti da schemi rigidi, fissi, ripetuti non puoi certo sperare di costruire una relazione!

 

Mi viene in mente la foto di un murales che ho visto girare su Internet, a proposito dell’attenzione al linguaggio. Eccola ??

 

 

Oltre al contenuto e al linguaggio per lo smart talking è importante anche il modo con cui si comunica. Cosa mi vuoi dire a riguardo?

Se un messaggio viene trasferito in modo non adeguato risulterà comunque inefficace.  

E’ fondamentale prestare attenzione alla strutturazione della narrazione; al flusso di pensiero all’interno del discorso; ai suoni, ai gesti che utilizziamo; alle emozioni

 

Penso ai Ted Talk.

Sul palco chi parla porta una esperienza. Una storia.

La storia, l’esperienza sono ciò che ancorano il messaggio nella attenzione e nella memoria di chi ascolta.   

Molto spesso, invece, in azienda, si dà il privilegio ai numeri.

 

Ho visto incontri in cui c’era una interminabile condivisione di dati…e di cui non ricordo nulla perché non c’era focalizzazione sul messaggio fondamentale e perché non erano agganciati né a esperienze né a emozioni. E non raccontavano una storia.   

 

Grazie Diego, direi che ci siamo quasi. Io mi sento molto “potente” per aver condotto due interviste in una! Al comico e al formatore. Ti va se condivido la doppia intervista che hai fatto a te stesso? Io mi ci sono un po’ ritrovata e mi ha anche fatto sorridere.

 

https://www.youtube.com/watch?v=RUuuRBfbVJA

 

Chiuderei in leggerezza: ci regali un sorriso? 

So che può sembrare superficiale ma quando ho letto che in America, quando è partito il panico da coronavirus, molte persone si sono comprate le armi, ho pensato: beh, se l’intenzione è quella di sparare al coronavirus dovreste anche comprarvi delle lenti a contatto giganti!

 

E poi, se penso che tutto questo casino è scoppiato perché in Cina qualcuno ha pensato bene di mangiarsi un pipistrello, ad averlo saputo prima, gli pagavo volentieri una cena da Cracco ??

In ogni caso sul tema cibo noi italiani siamo più avanti: abbiamo la miglior cucina al mondo e oltretutto non è mai stato trovato un virus che ci infetta a partire dalla pizza!

 

 

 

 

Ringrazio Diego per il tempo e l’energia che ha dedicato a questa intervista e per la passione che lo anima nel suo lavoro.

Grazie a chi ha letto tutta l’intervista e a chi avrà voglia di farmi avere commenti!

 

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